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Julia and the Roofers, la recensione del debut album “The Will of Evil”

Music Alive | Gennaio 21, 2021

The Will of Evil” è l’album di esordio della band ligure Julia and the Roofers, uscito il 7 gennaio scorso per Diamonds Prod. Registrazione e master di Pier Gonella (MusicArt Studio).

Non lasciatevi ingannare dalla parola “esordio” però, perchè alle corde e alle pelli abbiamo rispettivamente Ranza e Peso, due pezzi di storia del metal italiano, che, con la giovane Julia alla voce, creano questo nuovo progetto. Più di una volta, ascoltando il disco, mi sono interrogata sul come classificare a livello di genere questo album: la difficoltà sta nel fatto che, sebbene le sonorità vadano dal classic rock al grunge più scuro, la voce calda, profonda e potente di Julia aggiunge un tocco blues, a tratti soul, a una band che, proprio per questa ragione, ha una sua identità tutta particolare.

L’apertura dell’album è affidata a “River”: pezzo energico e potente alla Alice in Chains, che ci dà un’anteprima perfetta di ciò che ascolteremo in seguito. Il chorus melodico fa da contraltare alle strofe più aggressive e oscure: le sfumature della voce di Julia ben raccontano il lato buio della disillusione (“I wash my soul in the water to cleanse me from your lies/ I light the frame of the past to burn the pieces of what I’ve left in vain”).

In “Summer (Seems so easy)” esce tutta la capacità interpretativa di Julia: i sentimenti contrastanti di un amore ancora vivo e carico di desiderio che scopre di essere stato tradito li troviamo espressi dai passaggi tra una linea vocale calda e dolce e le parti quasi urlate, ma anche dall’apertura delicata delle corde di Ranza, che poi sfociano in un solo elettrico che è un grido di dolore.

Il terzo pezzo “Sound of Evil”, uscito con videoclip su Youtube a novembre 2020, è il primo singolo che ha anticipato l’album. E a ragion veduta direi: terza posizione in scaletta come tre sono i punti forti. Oltre a poter apprezzare i vibrati e il graffiato della gran voce di Julia, vediamo come ospite Pier Gonella alla chitarra. Il terzo punto forte? Avete presente l’effetto che fa l’ingresso della batteria di Phil Collins su “In the air tonight”? Ecco. Peso qui fa la differenza e si sente. Ascoltate con le vostre orecchie.

Come to an end” è il pezzo più sorprendente dell’album: non gli manca nulla. Troppo facile classificarlo come generico rock, troppo rischioso snocciolare tutte le contaminazioni presenti senza farlo sembrare un calderone senza senso, quando invece di senso ne ha e pure parecchio. Un viaggio sensoriale in giro per il continente nordamericano, mentre Julia esordisce con un sensuale e quasi strafottente “Hey man, I’ve removed some stones from my shoe”. Riff, groove e una voce che fa acrobazie al servizio del brano. Imperdibile.

Brividi. Tanti brividi per “Eros e Thanatos”: la protagonista indiscussa della prima parte è la voce di Julia, accompagnata solo dalla chitarra acustica, ma poi il pezzo esplode. Non solo controllo e delicatezza, ma anche potenza dosata bene e atmosfera creata ad arte per questo secondo singolo, di cui è stato pubblicato il video su Youtube nel giorno di uscita dell’album.

Arriviamo al sesto pezzo e l’atmosfera si alleggerisce, perlomeno sotto l’aspetto prettamente musicale. “The rope” sembra voler concedere un attimo di fiato, almeno finchè non si presta attenzione alle parole. Da un chorus che recita “Put the rope around my neck/ You said ‘I’ll be sorry when you’re dead’” ci si aspetterebbe un’atmosfera molto più cupa, ma non è questo il caso.

Non può mancare la ballad; arriviamo quindi a questo piccolo gioiellino che è “Gardens”. Tenerezza e malinconia riguardando al passato e alle sue illusioni: “As I opened my eyes I saw I was blind to see”, a ricordarci con raffinatezza che a volte diventiamo ciechi quando non vogliamo perdere qualcuno che per noi è importante.

Si torna alle atmosfere di Seattle con “Down in the net”, l’ultima scarica di energia prima del pezzo conclusivo “Bones”. Un brano intriso di carica emotiva, del buio e dell’oscurità di chi si guarda allo specchio e si fa delle domande perchè si sente inutile e mai abbastanza. Se i brani precedenti sono una sorta di lettera alla controparte di una relazione sofferta e difficile, questo è l’epilogo in cui percepiamo gli interrogativi, il senso di vuoto e di distruzione che questi rapporti lasciano. Molto toccante il parlato con cui il pezzo si chiude, come se fosse l’ultima pagina di un diario.

Concludendo, un album in cui strumenti e voce raccontano la stessa cosa, coerente e impegnativo. Un cielo plumbeo che si specchia in un mare in tempesta: per poterlo apprezzare in tutta la sua espressività bisogna essere pronti. Ma va a toccare corde talmente profonde che, una volta compreso a pieno, sicuramente non finisce nella lista dei tanti album che capita di ascoltare. La qualità lascia il segno e qui non manca, sotto tutti i punti di vista. Ottimo lavoro, consigliatissimo.

E se volete saperne di più su Julia e sulla band, leggete l’intervista cliccando qui.

A cura di Francesca Saglia – Music-Alive 2021

Pubblicato da Music Alive

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