“7” il nuovo album di Ira Green

Dal 2015 oramai sull’onda di un successo più che sudato, grazie anche alle performances canore a The Voice of Italy nel 2015, Ira Green torna sulla scena musicale col suo secondo album dal titolo “7”. Dopo una dura gavetta e la parentesi del Talent, la Rocker affronta un percorso di live in Italia ed in Europa. Il primo singolo: “Mondo senza regole”, diventa un successo ed entra nella Top 100 di iTunes Stores, anticipando l’album d’esordio, “Re(be)ligion”.

Sebbene sia noto delle sue preferenze nel volersi esprimere in Inglese, Ira Green con “7” si presenta stavolta con un lavoro completamente in italiano e affronta i vizi capitali, dedicando ogni brano ad uno di essi e affiancando i titoli ad una caratteristica o un personaggio o uno stato d’animo; un album che diventa uno screening delle debolezze umane, cercando, con la conferma del sound, impresso nella cultura del Rock, Hard-rock e Metal, di arrivare al pubblico con argomenti di interesse sociale ed esistenziale.
Il primo brano è:“Lussuria – Fuori controllo”. Da reminiscenze scolastiche, qualcuno è abituato ad associare i vizi capitali ai gironi dell’Inferno (al massimo, ai cerchi del Purgatorio) della “Comedia”, dove le anime scontano la pena del peccato terreno con divine punizioni. Ira Green si cala, invece, nei panni di chi vive in modo effimero le non virtù, spiegando gli stati d’animo con grande maestria interpretativa. Del lussurioso c’è una visione molto umana, fatta di autoconvincimenti: “io non ho paura di me…sono fuori controllo” e di accettazione della propria condizione: “io viaggio distante da ogni pudore”. Un inizio con un lungo riff di chitarra dal sapore grunge (genere principale del lavoro) apre le danze e l’album degnamente. Dopo qualche frase musicale, fa il suo ingresso l’esplosiva rocker dall’inequivocabile graffio, travolgendo con la sua energia. E se già in Re(be)ligion le doti canore emergevano con forza fra basso e batteria dai toni e ritmi metallici e chitarra in distorsione, da questo lavoro aspettatevi molto di più, perché è riuscita ulteriormente a migliorare il suo vocal score.

Ancora un riff tagliente per l’entrata di “Superbia – Icaro”, evoluto poi verso un groove più melodico. Ma Ira Green non si rilassa un attimo e il risultato dell’harsh vocal è adrenalina a mille, a cui si aggiungono i virtuosismi elettrici sul finale (presenti anche in altri brani), puliti da distorsori, che faranno drizzare le antenne agli estremisti del Metal. L’argomento viene trattato sempre da chi è dentro la situazione: “…guardarvi tutti da lassù /come topi in preda alle aquile /nella vostra mediocrità / incline alla pazzia”. Il superbo passa all’attacco, trattando con disprezzo e screditando gli altri. Ma il testo entra fin nelle viscere tronfie di Icaro, scoprendolo vittima, nella convinzione della sua ineluttabile grandezza: “se solo voi riusciste a capire/ quanto fa male/ sentirsi superiore”. Qui, però, mi piace ricordare, che il Sommo Poeta, avendolo paragonato ad Ulisse, post mortem lo avrebbe scaraventato nell’VIII cerchio dell’Inferno, perché “Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguire virtute e canoscenza“, volontà e intelligenza non bastano… c’è bisogno di umiltà!
In “Accidia – Giù” una rullata apre il riff iniziale che, dopo diverse variazioni, ritroviamo spesso nel pezzo e sul refrain si viene travolti dallo scream vocale avvolgente come un tornado. Il tema si presta a repentini picchi vocali, per come chiosa l’accidioso: ossessivamente scocciato, ozioso (pur convincendosi di esser furbo) e spesso giù di morale: “…Perché mai sprecare le proprie energie/ scelgo di affogare nelle mie bugie… Giù/ steso nel mio letto/ giù il mio morale non è alle stelle…” .
“In(die)vidia – Invidia” si distacca musicalmente dal resto del lavoro, sia per melodie e atmosfere che per ritmo; primo estratto dell’album, con la caratteristica di esser diviso nettamente tra lo stile indie italiano della strofa e il metal del ritornello. Il motivo è orecchiabile, divertente e ironico, con un testo, che guarda alle canzoni indie con diffidenza: “Tu prendine una a caso/che fa musica un po’ indie/ con synth anni ottanta/ porca vacca quanto vendi”. Una visione, ironicamente invidiosa, dal lato di chi fa tutt’altro genere e crede fermamente nell’indipendenza musicale. E sull’intercalare si scatenano le sonorità inferocite, condite da ritmiche ed effetti acustici ruvidi e una voce capace di raschiarti le orecchie:“Vi invidio/ la verità è che/ vi invidio”.
Ritorniamo a quelle atmosfere, dirette discendenti del sound di Seattle, con “Avarizia – Diverso da me”. Poche variazioni sul tema, sia stilistiche che melodiche, mantengono ben saldo il pezzo sul tessuto musicale di partenza ed accompagnano Ira Green, vocalmente meno scatenata, ma con punte di falsetti graffiati e graffianti. L’avaro, “devoto al dio denaro”, è convinto che il suo interlocutore non sia da meno, perché “anche amare ha il suo prezzo”; spilorcio al punto, da non riuscire a separarsi nemmeno dalle vecchie abitudini e dalle cose inutili. Non passa inosservata la breve analisi della psiche del soggetto, che non rinnega la sua essenza, per la convinzione dell’indifferenza altrui.
“Gola – Cristallo”, penultima traccia, apre il sipario ad una power ballad, una lacerazione fra le sonorità di metallo, intrisa di una tristezza struggente; versi gridati e sofferti, tanto da rigare il cuore, accompagnati dapprima dalle note di un pianoforte con pochi effetti di fondo e aggiungendo archi, chitarra e batteria nel climax del pezzo. Dalla protagonista, sicuramente abituata alla buona tavola partenopea, ci si sarebbe potuti aspettare un mea culpa per i piaceri della gola (comprendendone anche le motivazioni). Ma sorprende il testo, che interpreto come una dedica accorata al luogo depositario del talento canoro; attraverso la voce, l’anima di chi l’adopera come strumento esterna la sua essenza e si porta il peso della forte passione. Da questo punto di vista, una simile dote diventa croce e delizia con le fattezze di un nobile vizio: “Gabbia sei tu / che mi trasforma in Cristallo…Dovrei dire no / liberarmi da ciò / un’anima vera / che pace non trova…Ti sazi del mio soffrire / non ha importanza nemmeno il perché”.
Il settimo brano si staglia sul resto della tracklist per i versi al vetriolo ed il riff ruggente di testa e, pur mantenendo una durezza rabbiosa, alterna brevi momenti di calma serafica. “Ira – La Bestia”, ultimo pezzo dell’album, viene affrontato con tutta la grinta che il tema impone. Un’Ira iraconda (scusate il gioco di parole): “non sfidare la sorte perché sono una bestia”, ma sempre con una motivazione di fondo, che la rende conforme al genere antropico: “c’è anche da dire/ che io soffro e non vedi/ le ferite son vere anche se non ci credi”.
“7” ha alle spalle collaborazioni, oltre che con la band della lead vocalist (Marco Branca basso, Andrea Sora chitarra, Sebastiano Danelli tastiere, Salvatore Laurella batteria), anche con nomi illustri della musica italiana: Cesareo, chitarrista di Elio e le storie tese, Federico Sagona, ex tastierista Litfiba e Noemi, Fabrizio Simoncioni, producer e tastierista Litfiba. E rivelandosi un disco in cui sono racchiusi arte rumoristica, capacità vocale ed apertura verso le fragilità umane, la direzione giusta è quella dell’ascolto, che non potrà che essere catartico.
A cura di Elisa Iacono (2019)
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