“Unsafe places”: il viaggio tra dune, piramidi e Chernobyl di Emanuele Bodo

“Unsafe Places” è l’album di debutto di Emanuele Bodo, composto da sette tracce strumentali in piacevole equilibrio tra prog classico, fusion e djent.

La prima nota di merito è il fatto che, pur essendo un album solista, i musicisti che accompagnano Bodo (Carlo Ferri al basso, Davide Cristofoli alle tastiere, Mattia Garimanno alla batteria) riescono a tessere una matrice sonora equilibrata e molto efficace, su cui Bodo può intrecciare melodie accattivanti, sostenute da ritmiche ruvide e potenti.
Un altro grande pregio dell’album è che non appare mai ripetitivo, alternando sapientemente sonorità più aggressive ad aperture melodiche che danno respiro ai brani.
La qualità tecnica di Bodo e dei suoi compagni è decisamente notevole, eppure “Unsafe Places” non appare affatto un mero esercizio di stile, tutt’altro, si sente che è un album “pensato”, gestato e partorito con impegno emotivo e ispirazione. Emanuele e i suoi compagni prendono per mano l’ascoltatore e lo accompagnano in un viaggio onirico attraverso “Luoghi Insani”. L’artwork suggerisce visioni di un possibile futuro apocalittico, partendo da “Black Dunes”, con sonorità che evocano i Dream Theater, per immergersi, con “Challenger Deep”, in un abisso popolato di creature inquietanti e che rimanda ad alcune atmosfere dei Fates Warning.
“Chernobyl” rievoca gli incubi della distruzione nucleare, alterando sapientemente ritmiche più cupe a una interessante prova virtuosistica di Bodo. “House of 9” sembra discostarsi lievemente dalle altre tracce con un’impronta quasi canzonatoria e con un accattivante effetto wha wha. “Landing To Giza” si apre con un pianoforte intimista per poi esplodere in atmosfere epiche e con ritmiche ossessive che possono ricordare gli O.S.I. Questa traccia e la successiva “The Omen” sembrano suggerire ispirazioni di tipo esoterico mentre “2 Strangers” lascia pensare all’incomunicabilità tra esseri umani.
Eppure queste atmosfere cupe, che sono suggerite soprattutto dai titoli e dall’artwork, trovano un’assonanza solo parziale con la musica, che invece arriva all’ascoltatore come una iniezione di energia e, oserei dire, di speranza.
Devo dire che per me è probabilmente proprio questo l’aspetto più accattivante dell’album: un apparente contrasto tra cupezza e solarità. Un viaggio nelle profondità dell’animo umano, affrontarne la distruttività per ritrovare, proprio come è avvenuto nella Chernobyl geografica, una Vita che si rinnova, a dispetto della tragedia nucleare.

Consigliato a tutti gli amanti del genere!
Voto 8
a cura di Elena Lippe – Music-Alive 2019
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